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Inserito da (admin), venerdì 7 novembre 2014 10:46:58
Dopo giorni di attesa, a causa degli scioperi selvaggi dei piloti di Air France, il fascino di Venezia raccontato da Giovanni Antonio Canal, detto il Canaletto (1697-1768) sarà finalmente in mostra alla Galleria Nazionale dell'Umbria dal 7 ottobre fino al 19 gennaio 2015 con le due vedute veneziane del Canal Grande e il ponte di Rialto e di piazza San Marco, provenienti dal Museo Jacquemart André di Parigi.
Ad illustrare i due capolavori il 7 ottobre alle ore 11.00, saranno Francesco Scoppola, Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell'Umbria, Maria Teresa Severini, Assessore alla Cultura del Comune di Perugia e Fabio De Chirico, Soprintendente per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici dell'Umbria che ha sottolineato come l'occasione di poter ammirare per la prima volta a Perugia due preziose tele del Canaletto, rappresenti una notevole opportunità per la valorizzazione del patrimonio artistico custodito dalla Galleria Nazionale dell'Umbria.
La presenza delle due tele nella sala 39 è dovuta alla convenzione firmata con il Museo Jacquemart-André di Parigi in occasione della mostra Le Pérugin Maître de Raphaël, organizzata dal museo francese dal 12 settembre 2014 al 19 gennaio 2015, che vede il museo perugino prestatore d'eccezione.
Orari di apertura dal martedì alla domenica, dalle 8.30 alle 19.30; venerdì apertura prolungata fino alle 22.00
La biglietteria chiude un'ora prima della chiusura del museo
Soprintendenza Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici dell'Umbria, Corso Vannucci, 19 Perugia, Palazzo dei Priori tel 075 58668415; fax 075 58668400 sbsae-umb@beniculturali.it
Nell'ambito della pittura di paesaggio si distingue un genere a sé, quello della "veduta", le cui esigenze risultano particolari, diverse, finanche antitetiche rispetto a quelle della pittura di paesaggio tout court. Per molti artisti il paesaggio rappresentava la pittura di evasione dal contingente, teatro di miti e di umane passioni; all'opposto la "veduta" agli inizi del Settecento nasceva come descrizione ottica, minuziosa e lenticolare di situazioni attuali, immediate e documentarie, di un quotidiano vissuto direttamente dall'artista e in ogni momento verificabile.
A Roma, e poi a Venezia, le origini della veduta topografica, strumento di conoscenza razionale della realtà ambientale, si legano all'attività del pittore olandese Gaspar van Wittel, giunto in Italia poco più che ventenne nel 1675. Sulle sue orme, e quale tramite importante tra la cultura romana e quella veneziana, si poneva l'udinese Luca Carlevarjis, le cui numerose vedute della città lagunare costituirono testi fondamentali per la prima formazione di Canaletto.
Giovanni Antonio Canal, detto Canaletto, nasceva nel 1697 da Bernardo, scenografo veneziano e compiva i propri studi nell'ambito dell'attività paterna che consentì lui di cimentarsi presto con i problemi prospettici e col libero gioco compositivo delle masse architettoniche in un apprendistato che dovette durare almeno fino al primo viaggio romano nel 1719-20.
Negli anni successivi Canaletto elaborava uno stile inconfondibile fondato sulla costruzione prospettica, cui si sovrapponeva poi il singolo motivo topografico prescelto. La sua pittura, descrivendo una realtà ambientale senza apparenti preferenze per questo o quel dato, senza concessioni all'episodico o al pittoresco, sembra cosciente di una propria interna e autonoma funzione di rappresentazione storica, dove la storia non è più il gesto carismatico dell'uomo illustre o designato da un potere divino, ma l'insieme delle varie e diverse azioni degli uomini.
La città (Venezia, o anche Londra dove Canaletto giunse nel 1746), per mezzo di una tecnica raffinata, basata su principi razionali e col dichiarato ausilio di strumenti tecnici come la camera ottica, è squadernata davanti alla coscienza del riguardante in contatto diretto e immediato; all'occhio sembra richiesta soltanto l'adesione incondizionata al dato rappresentato.
Le due vedute veneziane (San Marco e il Ponte di Rialto) di Canaletto, in prestito temporaneo dal museo parigino Jacquemart Andrè, si inseriscono quali presenze totalmente eccentriche nel percorso di visita della Galleria Nazionale dell'Umbria, stabilendo, con un notevole scarto cronologico di un secolo, un dialogo interessante con il corpus omogeneo di vedute perugine di Silvestro Massari (Perugia, 1794 - 1851) e Giuseppe Rossi (Perugia, 1820-1899). La Rocca Paolina, "fotografata" dai due artisti e in particolar modo da Rossi, che la ritrae secondo molteplici punti di vista, è così messa a confronto con la Basilica di San Marco e il Ponte di Rialto di Venezia: la fortezza perugina, monumento emblematico della storia della città umbra quale simbolo della dominazione pontificia nonché, col suo eroico abbattimento, della libertà conquistata, è posta in dialogo diretto con due monumenti cardine della storia della città lagunare.
Seppur a un secolo di distanza, lo stile di Rossi, caratterizzato da un estremo descrittivismo, risulta più vicino al vedutismo settecentesco che non al paesaggio realista ormai codificato nella seconda metà dell'Ottocento. Come quella di Canaletto anche la sua formazione è legata all'attività di scenografo teatrale, attività che permise all'artista di misurarsi con problematiche prospettiche e di costruzione di spazi architettonici. Anche le vedute di Rossi (ne eseguì circa duecento), come in precedenza erano state quelle di Canaletto al tempo del Grand Tour, riscuotevano un certo successo presso i viaggiatori stranieri che giungevano in Umbria e volentieri riportavano in patria un'immagine del Bel Paese.
La scelta di realizzare opportunità di scambi con altri musei e, nello specifico, questa col prestigioso Museo Jacquemart André di Parigi, si inserisce in una più ampia strategia culturale, volta a presentare i capolavori della Galleria Nazionale dell'Umbria presso altre sedi espositive e al contempo finalizzata ad ospitare opere altrettanto significative, per una reciproca valorizzazione che, ci si augura, possa essere occasione di un'inedita visione sul nostro patrimonio culturale.
Fabio De Chirico
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