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Inserito da (admin), lunedì 28 gennaio 2008 00:00:00
Domenica 23 verrà inaugurata la XX edizione del Festival di Musica Antica, promosso dall'Associazione Koinè di Carmine Mottola
Taglia il prestigioso traguardo delle venti edizioni, il Festival di Musica Antica, promosso dall'Associazione Koinè di Carmine Mottola, sostenuto dalla Provincia e dal comune di Salerno. Il tema scelto per questo cartellone è "Musica per una città medioevale, Salerno", ma l'anteprima che il pubblico andrà a vivere domenica 23 dicembre, alle ore 20,30, nel Complesso di Santa Sofia è dedicato all'Orchestra degli Angeli della Chiesa barocca di San Giorgio. La serata verrà inaugurata da due interventi, il primo dedicato all'iconografia degli angeli musici, tenuto dalla storica dell'arte Tiziana Mancini, il secondo che avrà quale tema la renaissance degli antichi strumenti musicali, sarà, invece, svolto dal critico musicale Olga Chieffi. Se Tiziana Mancini si soffermerà, con il supporto di proiezioni sugli otto angeli presenti nella chiesa di San Giorgio, gemme del ciclo di affreschi che, tra il 1674 e il 1675, portò a compimento Angelo Solimena lungo la navata centrale, il secondo intervento tratterrà di iconologia musicale, illustrando gli strumenti suonati dagli angeli, dal liuto al cornetto, dal monocordo alla tromba, sino alla tiorba, alla viola da gamba, all'arpa, all'organo positivo e alla viola da braccio. Un intervento, questo, che vedrà la collaborazione degli strumentisti dell'AnticA Consonanza che schiererà Guido Pagliano al flauto e alla viola da gamba, Ermeneziano Lambiase alla spinetta, Gabriele Rosco al calascione e alla viola da braccio, Francesca Turano al liuto e all'arciliuto, ai quali si unirà la voce di Renata Fusco. Il programma prevede una Passacaglia tratta dal libro quarto di chitarrone, datata 1640 del fiammingo Johannes Hieronymus Kapsberger, il quale si battezzò da sé "Giovanni Geronimo Tedesco della Tiorba" in riferimento alla sua bravura ed alla sua fama di suonatore di quello strumento, in cui si rivela un notevole rappresentante della monodia in Italia, seguita da variazioni anonime su due ground, due bassi ostinati che evocano uno una passacaglia, l'altro una ciaccona, tratte dal "The division flute" del 1706, affidate al flauto di Guido Pagliano, in cui conosceremo il suono del dulcimer, suonato a mo' di monocordo per poi procedere con una Chiaccona in partite variate di Alessandro Piccinini, che vedrà protagonista Francesca Turano all'arciliuto. Renata Fusco entrerà in scena per regalarci la Cantata sopra l'arcicalascione di Giuseppe Porsile, ai suoi tempi tra i maggiori protagonisti dell'affermazione della scuola napoletana nel mondo, una pagina che offre l'occasione per scoprire uno strumento oggi assolutamente desueto come il calascione, che accompagna la voce di soprano secondo una prassi molto diffusa in passato nel sud d'Italia, iniziandoci ad uno dei
segreti della canzone napoletana, che non è soltanto nella vocalità morbida nella sua vena melanconica e ornata alla maniera orientale, ma anche negli strumenti che accompagnano, suadenti nella loro espressività, affidata al plettro, in cui apprezzeremo il senso assai spiccato dei limiti della coloratura virtuosistica e un'attenzione per la sottolineatura musicale del testo e "Chi vidde più lieto e felice di me?" di Bellerofonte Castaldi in cui l'autore libera la briglia alla fantasia e si permette passaggi difficili o sorprendenti - mai dando la minima indicazione né di tempo, né di frase, né di ornamento, né di dinamica all'esecutore "perché chi havrà giuditio per sonare sicuro questa intavolatura l'havrà ancora per cosî fatti rimansugli". Che tradotto in linguaggio esplicito più o meno suona: "Che i cretini restino lontani dalla mia musica", un'aria, questa, che è un intero dramma in miniatura, nella quale due personaggi, un uomo e una donna, prima s'innamorano, poi si disputano per gelosia quindi si ritrovano, sotto lo sguardo di Amore, che alla fine d'ogni strofa ironizza. A chiudere la serata sarà un florilegio di Tarantelle dell'abate gesuita Athanasius Kircher, il quale nel 1630 si reca in Puglia per fare delle ricerche su alcune antiche terapie musicali legate al culto di Dioniso, pubblicando poi a Roma nel 1641 con il titolo De arte magnetica il risultato dei suoi studi sul tarantismo e la Carpinese, danze chiaroscurali, da ballare in equilibrio sulla sottile linea di confine tra gioia e dolore, tra salute e malattia, tra pazzia e ragione. Uno spazio angusto, limitato dal breve raggio di un giro armonico ossessivo ed ipnotico, capace tuttavia di ospitare un intero universo, un mondo in cui la vita e la morte colpiscono veloci e implacabili come il morso di un insetto.
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